Come sfamare il pianeta? La risposta arriva dallo spazio
Intervista a Luca Nardi, ricercatore dell’Enea
In foto: la base e la piantina in primo piano tenute nella mano dal ricercatore
Basato su coltura idroponica a ciclo chiuso e dotato di sistemi di illuminazione specifica, controllo di temperatura e umidità per rispondere ai requisiti restrittivi degli ambienti spaziali, GreenCube è in grado di garantire un ciclo completo di crescita di microverdure (in questo caso crescione) selezionate fra le più adatte a sopportare condizioni estreme e ad elevata produttività.
Presso il laboratorio di citogenomica del centro ENEA Casaccia, i ricercatori analizzano le piante a valle di un test di crescita nel cubesat.
La ricerca scientifica si sta concentrando sempre più sullo sviluppo di sistemi biorigenerativi per il supporto alla vita in ambienti estremi, dove sostanzialmente coltivare all’aria aperta è impossibile – spiega Luca Nardi, ricercatore dell’Enea (qui in foto) – Le piante hanno un ruolo chiave nella nutrizione di precisione, sviluppata per integrare l’alimentazione degli astronauti nello spazio. Le soluzioni pensate per fornire cibo fresco agli astronauti trovano però applicazione anche nell’agricoltura di tutti i giorni che, peraltro, in scenari futuri, potrebbe dover essere integrata da sistemi produttivi domestici”.
GreenCube è il primo esperimento di orto spaziale, lanciato in orbita lo scorso mese di luglio (e tutt’ora in corso di svolgimento) con il volo inaugurale del nuovo vettore VEGA-C dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) dalla base di Kourou (Guyana francese), insieme al satellite scientifico “LARES2” e ad altri cinque nano-satelliti.
Il micro-orto, che misura 30 x 10 x 10 centimetri, è stato progettato da un team scientifico tutto italiano, istituito mediante un accordo di collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e l’Università La Sapienza di Roma, al quale prendono parte anche ENEA e Università Federico II di Napoli.
“I piccoli impianti di coltivazione in assenza di suolo come GreenNCube – prosegue il ricercatore – possono svolgere un ruolo chiave per soddisfare le esigenze alimentari dell’equipaggio, minimizzare i tempi operativi ed evitare contaminazioni, grazie al controllo automatizzato delle condizioni ambientali. Alloggiato in un ambiente pressurizzato e confinato, GreenCube è dotato inoltre di un sistema integrato di sensori hi-tech per il monitoraggio e controllo da remoto dei parametri ambientali, della crescita e dello stato di salute delle piante e trasmette a terra, in totale autonomia, tutti i dati acquisiti. Il sistema di coltivazione in orbita consente di massimizzare l’efficienza sia in termini di volume che di consumo di energia, aria, acqua e nutrienti e, nel corso della missione, sono previsti anche esperimenti di coltivazione a terra all’interno di una copia esatta del satellite per verificare gli effetti delle radiazioni, della bassa pressione e della microgravità sulle piante”.
“I dati che stiamo ricevendo sono di estremo interesse per capire anche come migliorare l’agricoltura intensiva – rivela Nardi – e renderla sempre più di precisione, razionalizzando i consumi di energia, fertilizzanti, acqua e quant’altro. Non è lontana la soluzione di coltivare in casa le verdure necessarie, praticamente on demand, quindi in base al proprio fabbisogno nutrizionale, secondo i parametri di peso corporeo, altezza etc… ma anche calibrate sulle caratteristiche genetiche del singolo”.
“L’urban farming, o il domestic farming possono, con l’acuirsi dei cambiamenti climatici che renderanno sempre più difficili le coltivazioni in campo aperto – conclude Nardi – essere di supporto per integrare l’agricoltura intensiva. Pensiamo inoltre a come sarà possibile coltivare nelle zone più impervie del pianeta (deserti, alta montagna, artico) dove le condizioni atmosferiche non permettono di coltivare. Eccezioni avveniristiche a parte, nelle nostre ricerche lavoriamo molto sull’innovazione tecnologica applicabile nell’agricoltura moderna. E’ da sperimentazioni come questa che nascono soluzioni contro lo spreco alimentare e al servizio del comparto produttivo che, si stima, nei prossimi anni dovrà sfamare un pianeta abitato da 10 miliardi di persone”.
Per ulteriori informazioni:
Luca Nardi
ENEA
Laboratorio Biotecnologie
luca.nardi@enea.it