Festival Internazionale Isole che Parlano
Palau (SS), 31 luglio 2024 – La XXVIII edizione del Festival Internazionale Isole che Parlano diretto da Paolo Angeli e Nanni Angeli celebrerà il grande fotoreporter recentemente scomparso Ivo Saglietti, con la mostra Sguardo di frontiera, ospitata dal 5 settembre al 6 ottobre 2024 presso gli spazi del Cineteatro Montiggia Sale Polivalenti.
L’esposizione, a cura di Federico Montaldo e Nanni Angeli e realizzata in collaborazione con Archivio Saglietti, rappresenta un omaggio alla carriera straordinaria di Saglietti, tre volte vincitore del World Press Photo e riconosciuto per la sua capacità unica di narrare l’uomo e il suo destino, con un percorso di sessantuno immagini – suddivise in nove focus tematici, uno dei quali dedicato a foto inedite sulla Sardegna – che proporranno un viaggio nello spazio e nel tempo sulle orme del lavoro di Saglietti. Ogni immagine è testimonianza del suo percorso professionale e umano, dagli inizi come cineoperatore a Torino, ai lavori come inviato nelle zone di guerra per grandi testate internazionali, fino ai progetti a lungo termine che hanno caratterizzato la sua carriera.
“Ho aperto gli occhi nella luce del Mediterraneo, a Toulon, nel sud della Francia, dove, se lo guardi a lungo, il sole diventa un cerchio nero. Credo che il primo sguardo determini anche un destino: quasi sicuramente è grazie a questa luce che sono diventato fotografo”.
Con queste parole, quasi un’epigrafe, comincia il libro autobiografico Ivo Saglietti Lo sguardo inquieto. Un fotografo in cammino (Postcart).
L’uomo, il destino e il cammino
È intorno a questi tre temi che si snoda l’intera vicenda umana e professionale di Saglietti. Dai primi passi a Torino come cineoperatore, alle tante guerre e guerriglie centro e sudamericane, mediorientali e balcaniche, coperte in assignement per le più importanti testate internazionali. Poi, la decisione di abbandonare questo percorso tradizionale per soddisfare quella insopprimibile urgenza di esprimersi attraverso progetti a lungo termine, che lo porterà a ripercorrere la via degli schiavi, a raccontare il dramma dei migranti, le tormentate frontiere della ex Yugoslavia, il destino del popolo palestinese e molti altri luoghi travagliati della terra.
Come sottolinea Federico Montaldo «sorretto da un’etica del proprio lavoro di fotografo che è oggi merce rara – travolti come siamo da immagini inutilmente violente, pornografiche, sbattute in faccia da ogni dove e con ogni mezzo – Saglietti non dimentica mai di fare trasparire quell’attimo di umanità, che come osservava Eugene Smith (non a caso tra i suoi dichiarati Maestri), deve sempre accompagnare una buona fotografia».
Saglietti, infatti, non smette mai di interrogarsi e non si è mai limitato a scattare fotografie: il suo approccio era quello di uno scrittore che utilizza le immagini al posto delle parole. Ogni suo progetto è un racconto coerente, dove ogni fotografia si collega alla precedente e anticipa la successiva, secondo una logica narrativa.
Progetti che durano anni e ai quali è difficile dare un termine, con la consapevolezza che l’esperienza umana è un cammino in continua trasformazione e che sarebbe velleitario pretendere di mettervi la parola fine, «un cammino fisico anzitutto – ricorda ancora Montaldo -, perché se per fare buona fotografia occorre avere buone scarpe, come ha affermato Koudelka rispondendo al quesito sulle qualità necessarie per fare il fotografo, Ivo Saglietti ha sempre avuto buone scarpe: solide, forti, essenziali. Ma anche un cammino meditativo, lento, silenzioso, metafora di uno sguardo dacui scaturisce una fotografia necessaria e asciutta come il bianco e nero che ne scandisce le immagini».
Sguardo di frontiera
Le opere esposte abbracciano un periodo che va dalla fine degli anni ‘80 del secolo scorso fino al 2018: dal Cile sotto la dittatura di Pinochet – lavoro da cui è stato tratto il suo primo libro fotografico, Il rumore delle sciabole (LM Editoriale, 1989), al reportage che racconta la via degli schiavi tra Benin, Uganda e soprattutto Haiti; dalla guerriglia di Sendero luminoso in Perù, che gli valse il suo primo World Press Photo Award nel 1992, all’Intifada in Palestina con immagini chenon cercano mai la facile emotività, ma di raccontare, con la sua consueta umanità e con il rispetto dei soggetti ripresi, la vita nei “territori” palestinesi; dalle conseguenze tragiche delle guerre balcaniche in Kosovo, dove Saglietti seguì il conflitto praticamente dal suo inizio, e a Srebrenica – con l’immagine delle due donne bosniache che piangono sulla bara di un loro congiunto premiata con il World Press Photo nel 2011 -, al fenomeno globale delle migrazioni, di cui fu tra i primi ad occuparsi raccontando con le sue immagini la condizione di queste masse di persone che abbandonano le loro terre spinte dalle guerre, dalla fame, dalla povertà, dal miraggio di un futuro migliore per loro e per i loro figli.
Tra gli ultimi lavori, il racconto dell’esperienza di Padre Paolo Dall’Oglio, con cinque fotografie che fanno parte del più ampio progetto che racconta del dialogo possibile e necessario tra le religioni e gli uomini attraverso l’esperienza comunitaria dell’antico monastero siro antiocheno Deir Mar Musa el-Habasci (San Mosè l’Abissino), luogo di ospitalità e di scambio interreligioso cattolico e musulmano abbarbicato sulle montagne della Siria.
E, infine, in omaggio alla terra di Sardegna, alcune immagini inedite del sud dell’Isola, che Saglietti amava molto e alla quale amava tornare ripetutamente per una sua ricerca personale sul paesaggio. I luoghi da lui esplorati lo portano su luoghi e territori abbandonati o dismessi, che raccontano di un passato industriale (Carbonia, Argentiera), di campagne desolate e casolari in rovina, ma anche di muri a secco che sfidano i secoli in alcune delle aree povere dell’isola (Sulcis – Iglesiente e Nurra). In queste immagini non si vede l’uomo ma le sue tracce, lo stile è sempre quello asciutto e mai ammiccante o estetizzante che contraddistingue tutta la sua fotografia, con elementi compositivi che ricorrono spesso, come i pali a dividere il piano in porzioni diverse.
«Il percorso espositivo si sviluppa seguendo un criterio cronologico ma anche narrativo, in cui il lavoro su Deir Mar Musa rappresenta uno snodo tematico, una sezione che funge da “baricentro” per l’intera mostra (nel senso fisico e nel racconto), rappresentando idealmente una speranza di dialogo interculturale e interreligioso, quasi in antitesi con le sezioni che la precedono e la seguono. Al termine di tante “genti” la mostra conclude il suo percorso in una Sardegna quasi spettrale, con case abbandonate, muri a secco, cancelli, finestre e mare, foto silenziose e aperte, in cui possiamo leggere i resti del passato e un futuro non definito» così Nanni Angeli – direttore artistico insieme a Paolo Angeli del Festival – e aggiunge «con la realizzazione di questa mostra, si conclude un percorso iniziato lo scorso anno, fatto di email e telefonate, si porta a termine una promessa reciproca tra me e Ivo Saglietti. Ho un solo grande rammarico, quello di non aver avuto il tempo di conoscerlo e di fargli conoscere la nostra realtà. A seguito delle nostre (poche) telefonate, sono certo che sarebbe stato “uno dei nostri”, uno di quegli ospiti con cui ci saremmo riconosciuti, una di quelle persone che avrebbe lasciato al Festival un’eredità importante, di sguardo e di senso».
La mostra, a ingresso gratuito, sarà aperta fino al 6 ottobre dal martedì alla domenica dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 17:00 alle 20:00.
Il programma completo del Festival Internazionale Isole che Parlano è disponibile sul sito
www.isolecheparlano.it, insieme a tutte le informazioni per partecipare agli eventi.
Isole che Parlano Festival Internazionale
XXVIII edizione
31 agosto/8 settembre 2024
direzione artistica Paolo Angeli e Nanni Angeli
Isole che Parlano di fotografia
IVO SAGLIETTI
Sguardo di frontiera
5 settembre – 6 ottobre 2024
Inaugurazione giovedì 5 settembre ore 21:30
Cineteatro Montiggia Sale Polivalenti, Palau (SS)