“Do ut des”. Così nascono i “last minute food”
La catena di distribuzione getta 238.000 tonnellate di merce commestibile, per un valore di 881 milioni di euro.
Un´idea nata nella facoltà di Agraria di Bologna si allarga a tutta Italia. Così i prodotti in scadenza "rivivono" sulle mense di chi non ha nulla.
«L´idea mi è venuta nel 1998 – dice Andrea Segrè, docente di economia e ingegneria agrarie e preside della facoltà di Agraria di Bologna – quando nel retro di un supermercato vidi la cuccagna che veniva mandata al macero: casse di cachi buttate sopra gli yogurt in scadenza, scatole di fagioli dalle cui confezioni erano stati tolti i punti premio gettate sull´insalata con qualche foglia scura. Certo, la soluzione sembra semplice: si prendono le cose buone e si danno a chi ne ha bisogno. Ma il problema è un altro: bisogna fare in modo che questo passaggio di merce porti vantaggi a tutti gli "attori" dell´iniziativa: se qualcuno ci rimette, il sistema non gira. Così, da quello che abbiamo chiamato "lo spreco utile", nasce il Last minute food, il cibo della solidarietà, capostipite del Last food market».
L´università non è un´opera pia e deve proporre progetti scientifici. «Per otto mesi un gruppo di studenti e dottorandi ha vissuto in un supermercato per osservare – e mettere poi i dati sui computer – tutto ciò che veniva scartato. Poi abbiamo fatto ricerche sulla domanda, tenendo conto che prodotti di questo tipo debbono percorrere la strada più breve per raggiungere l´utilizzo più alto».
Si butta di tutto, in un supermercato. I piselli vanno sul camion dei rifiuti quando arriva una partita di piselli più freschi.
Una cassa di mele viene buttata se due o tre mele appaiono marce. «Dati alla mano – dice il professor Segrè – si può calcolare che un ipermercato con superficie di 5.000 metri quadri in un anno butti via 1.700 quintali di prodotti alimentari, del valore di 595.000 euro.
L´intera catena di distribuzione alimentare italiana, escluse mense scolastiche e aziendali, getta invece 238.000 tonnellate, per un valore di 881 milioni di euro.
Con questa merce si metterebbero a tavola – dalla colazione al pranzo alla cena – 620.000 persone al giorno.
È chiaro che non tutto si può recuperare, ma anche una percentuale del 10 o 20% porterebbe risultati comunque importanti.
Con la merce fresca, anche la salute migliora: una spremuta è più salutare di un succo pastorizzato».
A lavorare in Last Minute Market ci sono (a tempo pieno e da un anno anche con lo stipendio) quattro ex studenti di agraria, con il loro presidente Luca Falasconi. «Con la nostra cooperativa, Carpe cibum, mettiamo in contatto un mercato che non fa offerte e un circuito di associazioni di volontariato che non fanno domande: tutto per valorizzare un prodotto che non ha prezzo».
Il supermercato che aiuta gli indigenti ha innanzitutto un guadagno di immagine, ma per favorire questo mercato della solidarietà sarebbero necessarie nuove leggi.
«Chi regala generi alimentari recupera il 4% di Iva. Sui prodotti non alimentari recupera invece l´Iva del 20% soltanto se la manda in discarica, non se la regala. E in discarica finisce di tutto: anche le biciclette con il solo cavalletto rotto».
È da qui che nasce l´idea del Last minute waste (rifiuti), «con cooperative che selezionino i rifiuti e rivendano ciò che è recuperabile». Ma ad Agraria si pensa ovviamente anche alla campagna. «Ci sono stagioni in cui pesche, pomodori, angurie e meloni restano nei campi.
Perché non organizzare una raccolta da parte di comunità?
Basta insegnare loro come muoversi senza danneggiare gli impianti e come trasportare correttamente la merce». Tante idee hanno già trovato la loro strada.
Last minute book, l´ultimo minuto dei libri, ha portato 50.000 volumi (destinati al riciclaggio della carta) agli italiani di Argentina, Cile, Uruguay.
Last minute food è già presente a Palermo, Cagliari, Bologna, Modena, Verona e Ferrara. E quest´ultima città ha giocato soprattutto la carta della difesa dell´ambiente. «Il Comune – dice Giorgio Tacchini – fa sconti fino al 30% sulla tassa del pattume a chi dona alimenti alle associazioni di volontariato. Più cibo nei piatti dei poveri vuol dire meno cibo in discarica. Una rosticceria ci manda il pesce fritto, ed in tempi di crisi aviaria sui nostri tavoli, finalmente, polli, tacchini e faraone sono arrivati in abbondanza». C´è anche la solidarietà da esportazione. «I commercianti rinunciano allo sconto del 30% sul pattume, per mandare soldi a un ospedale pediatrico in Tanzania».
Fonte: La Repubblica