Allarme “raw food diet”: i rischi del mangiare crudo
Milano, luglio 2012 – Chi sceglie gli alimenti crudi ritiene che siano più integri e benefici. Ma i nutrizionisti sono di diverso parere: sono gli alimenti cotti a essere più leggeri, più digeribili, più biodisponibili e igienicamente più sicuri
Spopola online, ha seguaci famosi tra i divi di Hollywood, e piace sempre di più anche da noi. Ma in realtà la moda di alimentarsi con cibi crudi è assolutamente scorretta. Come si legge nell’ultimo numero della newsletter L’Attendibile, la “raw food diet” è stata inserita tra le 5 diete peggiori del 2012 individuate dalla British Dietetic Association.
Gli esperti sottolineano come la mania del cibo crudo, ritenuto più integro e vitale, rischi di essere fortemente diseducativa. Infatti, al pari di quella per altri regimi alimentari monoprodotto o che aboliscono molti alimenti, distorce il rapporto con il cibo. Invece i nutrizionisti ribadiscono che la ricetta per restare in forma consiste nell’adottare uno stile di vita più salutare e una dieta varia ed equilibrata, che preveda ogni giorno il consumo dei 5 gruppi di alimenti irrinunciabili per una corretta nutrizione.
Anche la presupposta superiorità nutrizionale dei cibi crudi è tutta da dimostrare. Se da un lato la cottura influisce sul contenuto di vitamine termolabili e polifenoli, dall’altro – come hanno dimostrato numerose ricerche scientifiche – fa però aumentare il potere antiossidante di molti alimenti, favorendo la disponibilità e l’assorbimento da parte dell’organismo di molti principi nutritivi, come folati e licopene. Inoltre la cottura fa sciogliere una parte dei grassi, riducendone così la presenza nell’alimento cotto.
Ma i rischi maggiori legati al crudismo sono di natura sanitaria: salmonelle e germi naturalmente presenti negli alimenti di origine animale (come carni e pesci) vengono distrutti solo ricorrendo ad alte temperature. Così, per ridurre il rischio di infezione, le autorità sanitarie consigliano la massima cautela nei confronti del “raw food”, come tartare di vitello, carpaccio di pesce, germogli di soia e latte crudo.
Nessun rischio, invece, per il latte confezionato: quello che si può acquistare nei negozi alimentari e nei punti vendita della distribuzione moderna è stato infatti sottoposto a trattamenti termici (come la pastorizzazione) che mettono ko germi e batteri. Nessun problema neppure per i formaggi industriali: quelli freschi sono realizzati a partire da latte pastorizzato, e quindi privo di rischi. Invece per quelli ottenuti da latte crudo sono il trattamento termico in caldaia (come avviene per Grana Padano e Parmigiano-Reggiano) e la stagionatura ad agire da battericida. Basta, infatti, una maturazione di almeno 60 giorni per non trovare più alcun traccia di batteri patogeni. Del resto è stata proprio quest’evidenza ad aprire alle produzioni casearie tipiche italiane le frontiere di Paesi, come gli Stati Uniti e l’Australia, che sono particolarmente severi in materia di sicurezza sanitaria.
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