Afghanistan: l’Ue aiuti le donne afghane
Che non cali ancora il burqa sulle donne afghane e i loro diritti
Agosto 2021 – Il bluff dei talebani 2.0 che perdonano i nemici, che si impegnano a rispettare le donne e non maltrattare i bambini, si è già scoperto dopo le prime notizie di cronaca sulle esecuzioni sommarie come quella di Hai Mullah Achakzai, capo della polizia della provincia afgana di Badghis vicino ad Herat e alto funzionario dell’intelligence, diffuse in un video al mondo intero.
Le immagini di uomini e donne in fuga da Kabul, quelle dell’aereo carico di profughi, delle madri che lanciano i loro figli oltre alle reti di filo spinato ai soldati britannici perché li portino in salvo, o dei disperati che precipitano da un aereo appena decollato, follemente aggrappati alla carlinga nell’illusione di una salvezza da un orrore certo, ci parlano del panico della popolazione alla notizia dell’imminente arrivo dei talebani.
L’Afghanistan è stata terra di tutti, dagli inglesi nell’800 ai sovietici negli anni 70 fino agli americani di oggi, guerre che hanno devastato una terra ricca ma povera ancora di umanità. Eppoi c’è la guerra nella guerra, quella che non cessa mai, quella che si consuma a bassa o ad alta intensità a seconda delle latitudini e di quanto siano garantiti diritti e democrazia, ed è quella più antica che si combatte contro le donne e i loro bambini. Ossessione sulla quale noi uomini dovremmo interrogarci fino a scavare in profondità alle radici di quella mala pianta che si nutre di sete di potere su altri uomini, e di dominio assoluto sulle donne.
Ora le donne afghane tremano più di prima. Tremano le madri, tremano le figlie adolescenti ma anche le bambine che temono di diventare bottino di guerra dei combattenti talebani. Sappiamo che la pantomima del perdono dei nemici e la promessa di buone maniere rendono ancora più sinistra la minaccia sottintesa di ciò che accadrà alla popolazione sulla cui pelle si giocano da decenni disequilibri politici e conseguenti interessi economici. Sarà violenza su violenza in un regime del terrore.
Dopo la fuga dei talebani da Kabul nel 2001 per le donne, soprattutto nelle città, si era aperto qualche spiraglio anche grazie alle organizzazioni umanitarie che operavano sul territorio. Avevano potuto lavorare, studiare, alcune avevano raggiunto posti di responsabilità e altre avevano gettato alle ortiche il burqa. Nelle campagne la condizione delle donne non era cambiata, era ancora forte un’oppressione della sharia, tra lapidazioni di adultere, bambine cedute in matrimoni e segregazione nelle case.
L’occupazione militare non aveva certo spazzato via un patriarcato ancora solido e le donne continuavano ad essere oggetti, merce di scambio tra uomini. Il bellissimo film “Come pietra paziente” di Atiq Rahimi nel 2012 aveva messo sul grande schermo lo spaccato della condizione delle donne nell’Afghanistan devastato dalle guerre, occupato dai talebani padroni di commettere ogni nefandezza ed ogni abuso, svelandone non solo la violenza ma anche le untuose ipocrisie. Attraverso la confessione fiume della protagonista senza un nome, aveva mostrato come le donne possano essere perseguitate non solo durante la guerra da eserciti occupanti ma nelle case, da padri e da mariti, da coloro che dovrebbero proteggerle. Le donne possono vivere le peggiori distopie quando si fanno realtà. Una condizione che gli uomini hanno vissuto perché appartenenti ad una religione, ad una etnia, ad uno Stato; mai per essere maschi.
E ora, vent’anni dopo i talebani si riprendono la capitale, armati, ricchissimi, ancora più potenti, grazie all’enorme fiume di denaro che entra nelle loro tasche per la droga, quelle coltivazioni di oppio che mai potranno essere di ortaggi o grano. L’oppio rende di più e non c’è nulla che potrà fermarli per il momento. Forse potranno farlo proprio le donne pagando prezzi altissimi. Il senso di impotenza che si prova di fronte alla disperazione di chi cerca di fuggire non deve consegnarci all’indifferenza, d’altronde per anni abbiamo calpestato quelle aride terre. Le associazioni umanitarie e femministe stanno già chiedendo alla comunità internazionale e all’Europa che si impegnino affinché si chieda il rispetto dei diritti umani e si lavori alla creazione di corridoi umanitari per accogliere i profughi e le profughe. I centri antiviolenza sono pronti ad accogliere le afghane e i loro bambini.
L’Europa, se riesce, risponda, che non si faccia calare ancora il burqa sulle donne, sui diritti, sugli scempi che saranno commessi e sulle nostre coscienze sempre dormienti.
Jakub Stanislaw Golebiewski
Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/