Cappero di Pantelleria
Il cappero di Pantelleria ha una forma globosa; la varietà coltivata, senza spine, è la “inermis”, unica per l’intero panorama varietale presente.
Sene utilizzano i boccioli dei fiori e i piccoli frutti che, contenenti bioflavonoidi, un olio essenziale e resine, sono impiegati, conservati sotto sale o sotto aceto, come condimento aromatizzante, specialmente di salse.
Ha una forma globosa, un colore verde-senape ed un odore forte e aromatico senza alcune influenza esteranea.
L’isola di Pantelleria, di origine vulcanica, è estremamente arida per la scarsissima piovosità e come tale rappresenta l’ambiente ideale per la coltivazione del cappero.
Il cappero era già conosciuto sin dai tempi dei Greci (con il nome greco “Kapparis”) e dei Latini (con il nome capparis).
Sia per l’ampiezza della superficie investita (la zona di produzione comprende l’intero territorio di Pantelleria, in provincia di Trapani), sia per le cure colturali apportate ed ancora per la creazione di efficienti strutture di lavorazione e commercializzazione, la pianta del Cappero ha acquisito nell’isola carattere di coltura specializzata e costituisce una fonte di reddito di notevole importanza.
Potrebbe essere una storia del cappero. O una storia con i capperi. Certo e’ che il Cappero, quello con la ‘C’ maiuscola, e’ citato perfino nella Bibbia, Ecclesiaste XII 5, dove si accenna alle virtu’ afrodisiache di questa pianta. Ed ancora un autore cinquecentesco, Domenico Romoli, soprannominato ‘Panunto’, nel suo trattato culinario ”La singolar Dottrina”, afferma che: ”…quei che mangeranno capperi non hauran dolore di milza, ne di fegato…son contrari alla melanchonia, proucano l’ourina…”.
Lo stesso autore non manca di accennare a presunte virtu’ afrodisiache, specificando che i capperi ”fan vivace il coito”. Sara’ per queste sue qualita’, o piu’ semplicemente per il sapore inconfondibile e delicato, che il cappero sta vivendo un nuovo periodo di grande successo con una sempre maggiore attenzione in tavola.
Questa pianta mediterranea per eccellenza, ha la caratteristica di crescere sui vecchi muri, nelle fessure delle rocce e nelle pietraie, soprattutto delle zone di mare, ma non e’ raro vederla affacciarsi lungo i muraglioni che fanno argine al Tevere o tra le pietre squadrate di munite fortezze medioevali.
Come avviene a Castiglione Falletto, in provincia di Cuneo dove addirittura il 24 luglio si celebra ogni anno la ‘Festa del Cappero’, con raccolta ‘in cordata’ dei boccioli calandosi dalle mura del castello.
E’ vero, pero’, che l’ambiente piu’ adatto e’ quello solare del nostro meridione e piu’ specificatamente quello di Pantelleria, i cui capperi vantano una superiorita’ qualitativa che ha meritato loro nel 1993 l’Igp (Indicazione geografica protetta) dell’Unione Europea. E questo grazie al loro sapore piu’ intenso e deciso, dovuto alla presenza sul terreno lavico di una sostanza proteica denominata ‘glucocapparina’ contenuta in percentuali altissime.
Cifre ufficiali di produzione, per quanto riguarda l’isola, non esistono: si parla circa di 10.000 quintali l’anno.
Il cappero ‘pantese’, con il passito iscritto nella carta d’identita’ dell’isola, e’ stato per anni la base economica dell’economia locale: la sua produzione e’ vasta quanto e’ vasto il territorio; il frutto (o meglio il ‘boccio’) della pianta, un arbusto di 25, 40 centimetri con i rami penduli e striscianti, si raccoglie all’alba, quando il sole ancora basso permette di star chinati, per almeno 5 ore, a prendere questi bottoni verdi, fino a un chilo e mezzo per pianta.
Un lavoro duro e paziente che viene ripetuto ad intervalli di 5 giorni per cogliere i nuovi boccioli che si formano nel frattempo.
Passano gli anni, ma per il cappero tutto e’ rimasto invariato.
In una pubblicazione di fine ottocento, cosi’ si parla dell’importanza di questo prodotto: ”Nella costa del mezzogiorno dell’isola e sulle rupi aride cresce spontaneo il cappero, del quale i poveri raccolgono i bottoni nel mese di luglio ed agosto pria della fioritura e li vendono ad una classe di persone, che dopo averli divisi secondo la grossezza, li premono in salamoia e in aceto e poscia li mettono in commercio”.
Dopo un riposo di qualche giorno i capperi infatti vengono essiccati al sole e quindi sistemati in speciali contenitori di legno, ricoperti a strati con sale marino e rimescolati frequentemente. Per osmosi, l’acqua contenuta nei boccioli del cappero scioglie il sale formando una salamoia nella quale si lasciano per una decina di giorni. L’acqua di vegetazione che si forma, dovra’ quindi essere via via tolta, mentre al decimo giorno di lavoro bisognera’ aggiungere ulteriormente del sale.
Il cappero sara’ quindi pronto per essere commercializzato o in salamoia o sotto aceto; un metodo di conservazione, quest’ultimo, che potrebbe celare le magagne di una raccolta non proprio perfetta.
Curioso infine e’ un metodo utilizzato dai panteschi per incentivare la coltivazione, che consiste nello ‘sparare’ i semi di cappero con una cerbottana tra le fessure di un muro o tra le tegole di un tetto ben esposto.