Carciofo Romanesco del Lazio
Il “carciofo romanesco del Lazio” allo stato fresco, ha le seguenti caratteristiche:
– capolini di forma sferica, compatta, con caratteristico foro all’apice,
– colore da verde a violetto,
– brattee esterne di colore verde con sfumature violette,
– diametro dei cimaroli non inferiore a centimetri dieci,
– diametro dei capolini di primo e secondo ordine non inferiore a centimetri sette.
Il “carciofo romanesco del Lazio” è prodotto nei territori idonei dei seguenti comuni delle province di Viterbo, Roma e Latina nella Regione Lazio: Montalto di Castro, Canino, Tarquinia, Allumiere, Tolfa, Civitavecchia, Santa Marinella, Campagnano, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino, Roma, Lariano, Sezze, Priverno, Sermoneta, Pontinia.
Alcuni autori farebbero risalire l’inizio della coltivazione del carciofo nel Lazio al tempo degli Etruschi. Secondo Montelucci (cfr. Pignatti), il carciofo sarebbe originario del bacino occidentale del Mediterraneo, essendo sconosciuto ad egizi ed ebrei e rinvenendo in alcune tombe della necropoli etrusca di Tarquinia raffigurazioni di foglie di carciofo prese per adornarne le pareti. Tale autore attribuisce l’opera di addomesticamento della specie proprio agli Etruschi. Le imponenti popolazioni di Cynara Cardunculus, nella zona collinare tra Civitavecchia e Tolfa fino alle vicinanze di Cerveteri, avvalorano tale tesi. In epoche più recenti, la coltivazione del carciofo nel Lazio ebbe notevole impulso dopo la II guerra mondiale poiché non aveva bisogno di molte spese di produzione e manteneva una buona produzione per 6-7 anni. Il notevole successo della coltura e la necessità di far conoscere il livello qualitativo del carciofo prodotto in tale territorio, spinse ad istituire nel 1950 la sagra del Carciofo nella zona di Ladispoli. La rintracciabilità del prodotto è garantita dall’istituzione di un elenco di produttori attivato, tenuto ed aggiornato dall’organismo di controllo appositamente autorizzato, che verificherà le metodiche produttive, le caratteristiche del prodotto, i quantitativi di prodotto ottenuti da soggetti iscritti nell’elenco e le modalità di immissione al consumo.
Le cultivar che concorrono alla produzione del “carciofo romanesco del Lazio” sono il “Castellammare” con i relativi cloni ed il “Campagnano” con i relativi cloni.
La coltivazione del “carciofo romanesco del Lazio” prevede, per l’operazione d’impianto, un’accurata preparazione del terreno, l’interramento di concimi ed un definitivo livellamento della superficie. Il trapianto avviene da agosto a ottobre. L’impianto della carciofaia è mantenuto in coltivazione per non più di quattro anni con un avvicendamento triennale della coltura. Le operazioni colturali tipiche del carciofo sono la “dicioccatura” e la “scarducciatura”: la prima consiste nell’eliminazione degli steli che hanno portato i capolini, la seconda si attiva mediante l’eliminazione manuale dei carducci superflui. Per il “carciofo romanesco del Lazio” viene allevato un solo carduccio per pianta. La raccolta inizia in gennaio e può protrarsi fino a maggio, secondo le condizioni climatiche.
La zona di produzione del “carciofo romanesco del Lazio” è caratterizzata da una situazione climatica omogenea molto favorevole per la coltivazione del carciofo. La temperatura media nel mese più freddo (gennaio) è compresa tra + 3o e + 6oC. Tali temperature minime sono ottimali per la coltura del carciofo in quanto non scendono mai al di sotto di 0oC grazie all’azione mitigatrice del mare.
La temperatura media nel mese più caldo (luglio) varia da + 21o a + 24 oC ed il numero di ore di sole annuo è compreso tra 2000 e 2200. Anche la quantità e la distribuzione delle precipitazioni sono favorevoli alla coltivazione del carciofo.
Il terreno adibito alla coltivazione è di media tessitura, presenta un pH compreso fra 6,5 e 7,5 con un calcare attivo compreso fra 2 e 3.
I predetti fattori naturali, climatici e podologici sono determinanti nell’attribuire al “carciofo romanesco del Lazio” le sue particolari caratteristiche, alla formazione delle quali contribuiscono anche fattori umani e tecniche tradizionali quali ad esempio la reintegrazione della sostanza organica nel terreno, lasciando i residui colturali previo sminuzzamento e interramento, e quali l’allevamento di un solo carduccio per pianta mediante l’eliminazione degli altri al fine di favorire la crescita del carduccio prescelto. L’insieme dei fattori naturali e umani rende le caratteristiche qualitative del “carciofo romanesco del Lazio” uniche e non riscontrabili in altre cultivar o nelle stesse due cultivar indicate al punto 4.5 coltivate in altre zone geografiche.
Appare superfluo sottolineare la reputazione di cui gode il prodotto, protagonista di numerose sagre e costituente una delle principali risorse del territorio.