Con che criteri scegliamo il cibo che compriamo?
La scelta del cibo è il prodotto tra l’interazione dell’individuo con l’ambiente e molteplici fattori interagiscono in maniera implicita durante questo processo. Scegliere il cibo è un atto che fa parte della routine quotidiana e pertanto è soggetto a errori, distorsioni e influenze che hanno conseguenze rilevanti sullo stile di vita del singolo e sulla comunità in generale. Per mangiare sano è necessario compiere decisioni razionali? Quanto potrebbe essere utile e interessante comprendere come bilanciare gli errori tipici delle nostre routine decisionali?
Come scegli il cibo? Te lo dice il carrello!
Il carrello della spesa dice molto a riguardo delle abitudini alimentari di ciascun consumatore: c’è un interesse a guardare le offerte o a comprare d’istinto? Attrazione per i prodotti di marca o per quelli del territorio? Una sensibilità al biologico e ai prodotti sostenibili? Analizzare il contenuto delle borse della spesa prima di sistemare tutto nel frigorifero o in dispensa è un piccolo esercizio di sociologia quotidiana e di psicologia della decisione.
Sarà facile scoprire che a volte non si compra ciò di cui si aveva veramente bisogno finendo per mettere nel carrello un alimento del tutto inutile, o il cui acquisto, alla fine, è una conseguenza di una frase pubblicitaria, dall’offerta imperdibile o della disponibilità del commesso.
Scegliere è tutt’altro che un esercizio solo razionale: coinvolge diverse funzioni, alcune coscienti, molte inconsapevoli.
Scegliere il cibo significa gestire una complessità imprevista provando a mediare tra la pressione all’acquistoderivante dal contesto in cui compro (dove: supermercato o negozietto sotto casa), i propri valori e orientamenti sociali e culturali (cosa mi piace o preferisco: una dieta vegetariana o libera), le esigenze economiche (quello che posso comprare) e di approvvigionamento (quello che mi serve: la lista della spesa).
Scelte micro, conseguenze macro
Le nostre decisioni nell’alimentazione sono atti tutt’altro che individuali e privati. Le scelte alimentari hanno un impatto rilevante sulla società.
C’è un impatto economico che influenza tutta l’industria del cibo: produttori, venditori, titolari di attività nella ristorazione. Le famiglie italiane spendono per alimentari e bevande analcoliche il 18% del loro budget mensile, circa 462 euro in media (dati ISTAT 2018), mentre per la ristorazione gli italiani spendono sempre di più, circa 86 miliardi di euro (+0,7%) nel 2019, un trend che in 11 anni, dal 2008 (anno di inizio della crisi) è aumentato di 5,5 miliardi in valore (+7,2%) secondo le stime Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi).
C’è l’impatto in termini di salute-benessere, poiché le scelte alimentari prevengono o contribuiscono a causare condizioni patologiche di salute: pensiamo al diabete o all’obesità, ma anche a condizioni specifiche come la celiachia, le intolleranze, la riduzione del colesterolo. Per tutte queste situazioni la dieta, intesa come stile alimentare, è considerato l’approccio terapeutico primario ed è oggetto di raccomandazioni e prescrizioni mediche.
Infine c’è un impatto sociale e culturale: le scelte alimentari diventano cultura, generano correnti di interesse, definiscono l’identità personale e influiscono in maniera diretta anche sulle strategie commerciali delle aziende alimentari (pensiamo al dibattito sull’olio di palma, all’attenzione ad un packaging sostenibile o al consumo di carne che riflettono posizioni di attenzione all’ecologia e al consumo consapevole).
A guidare le scelte sono le necessità del corpo
Le tre aree che definiscono l’impatto sociale della scelta del cibo (economica, di salute, socio-culturale) riflettono anche alcune importanti motivazioni alla base della scelta del cibo. A queste motivazioni, vanno aggiunte quella omeostatica, legata alla necessità fisica di assumere energie e quella edonica, che si riferisce alla ricerca di piacere e gratificazione.
Quando si sceglie un alimento bisogna tener presente anche della spinta che proviene dall’organismo.
Fare la spesa quando si è affamati o stanchi dopo una giornata di lavoro sarà molto diverso dall’andare al supermercato tranquilli al sabato mattina.
La ricerca di cibo è influenzata in maniera rilevante dal lipostato, un sistema situato nell’ipotalamo che ha il compito di prevenire la diminuzione della adiposità influenzando l’appetito e dal sistema della sazietà, che riceve i segnali dall’apparato digerente. Il sistema della sazietà è a sua volta influenzato dal circuito del piacere e della gratificazione che spegne il senso di sazietà quando mangiamo cibi particolarmente gratificanti (pizza, gelato, cioccolata) e dal lipostato stesso.
I meccanismi di scelta del cibo sono inoltre determinati dal ritmo sonno-veglia: la quantità di sonno, l’orario a cui andiamo a dormire, la luce blu degli schermi cui siamo sottoposti e l’orario dei pasti regolano in maniera diretta il sistema della fame-sazietà e del piacere influenzando la capacità razionale di scelta e la valutazione di vantaggi e svantaggi di una decisione.
L’abilità di decision making implica la capacità di inibire la gratificazione immediata in funzione del raggiungimento di un obiettivo (vantaggioso) nel lungo periodo. Uno studio di Davis del 2004, ripetuto nel 2010, ha messo in luce come le prestazioni di soggetti obesi e affetti da Binge Eating Disorder (BED) fossero peggiori rispetto al gruppo di controllo in compiti specifici di decision making. La capacità di posticipare la gratificazione sembra influenzare particolarmente i comportamenti alimentari innescando un circolo vizioso particolarmente pericoloso per la salute.
Cosa si nasconde dietro alla scelta del cibo?
Fra il 1943 e il 1947 Kurt Lewin, un importante psicologo sociale, realizza una serie di studi finanziati dalla Commissione governativa USA sulle abitudini alimentari della popolazione. In un periodo di relative ristrettezze alimentari occorreva identificare strategie in grado indurre la popolazione americana a ridurre il consumo di certi tipi di carne e ad acquistarne di più economiche (es. frattaglie di pollo).
Lewin fu il primo a notare che “Le abitudini alimentari non sorgono entro uno spazio vuoto. Esse sono parte del ritmo quotidiano che pulsa fra l’alternarsi del sonno e della veglia; della vita solitaria e di gruppo; del gioco e del lavoro produttivo; dell’appartenenza a una città, a una famiglia, a una classe sociale, a un gruppo religioso, o a una nazione; del vivere in un clima caldo o freddo” e che il comportamento alimentare è influenzato da fattori diversi: gusto del cibo, status socio-economico, prezzo, salute.
Molti sono i fattori che influenzano la scelta ma il primo motivo per cui le persone mangiano ciò che mangiano è la disponibilità: mangiamo quello che c’è, non mangiamo quello che non c’è. A prima vista il fattore disponibilità ha a che fare con gli aspetti economici e sociali ma non è tutto qui. Gli esseri umani, contrariamente agli animali, hanno la possibilità di scegliere tra un’innumerevole quantità di alimenti o potenziali tali.
Sono le persone che in ragione della cultura, dei tabù, della tradizione, delle convenzioni sociali, delle conoscenze mediche e scientifiche, a determinare cosa è o non è commestibile, quindi disponibile. Ciò che è disponibile per un vegetariano è diverso da ciò che è disponibile per un celiaco, ciò che è disponibile per un vietnamita è diverso da ciò che è disponibile per un tanzaniano.
La disponibilità è quindi frutto anche di un “taglio” personale: de-cidere ha infatti nella propria etimologia il rimando al tagliare, re-cidere, ad una posizione attiva del soggetto che porta in sé la propria cultura, le proprie preferenze e la propria attitudine a esplorare.
Questa prospettiva viene definita costruzionista e considera l’individuo non passivo nelle sue scelte ma attivo: è l’individuo che sceglie come, quando, dove, cosa mangiare e comprare. Per la scelta alimentare è estremamente difficile proporre una gerarchia di motivazioni: motivazioni individuali, economiche, sociali, culturali, entrano in gioco e si influenzano fino a confondersi.
Tuttavia, essendo il consumatore a scegliere cosa comprare e cosa mangiare, è importante focalizzarsi sugli aspetti soggettivi provando a confrontare due termini centrali nel processo di scelta del cibo: preferenza e piacere.
Nel campo delle scelte alimentari il piacere appare legato maggiormente all’esito dell’esperienza gustativa, mentre la preferenza considera un più ampio ventaglio di fattori e si configura in maniera più precisa come un vero e proprio comportamento.
Se analizziamo queste dimensioni con la lente proposta da Daniel Kahneman in “Pensieri lenti e veloci”, il piacere sembra più vicino al Sistema 1, mentre la preferenza al Sistema 2.
Infatti, Kahneman descrive due sistemi attraverso cui le persone arrivano a formare pensieri, giudizi e a prendere decisioni: il Sistema 1 è veloce, automatico, emotivo, stereotipico, irrazionale, che entra in gioco per localizzare la fonte di un suono, o quando si guida l’automobile, e il Sistema 2 lento, logico, deliberativo, freddo, razionale tipico di quelle situazioni in cui si rivolge l’attenzione verso qualcuno in situazioni caotiche, si determina la validità di un pensiero logico.
Le scelte alimentari devono tenere conto di un grande numero di fattori e il consumatore si trova a gestire la complessità sia attraverso le strategie ‘consapevoli’ (fare la lista della spesa, evitare certe corsie del supermercato, iniziare dal banco frutta e verdura), altre seguono scorciatoie erronee (farsi tentare dal 2×3 sulle patatine, o dall’offerta sulla crema di cioccolato) che possono avere un impatto negativo sia sul singolo che sulla popolazione [7].
Conclusioni
I pensieri razionali possono dirci ciò che ci farebbe bene ma la stanchezza e le emozioni – il bisogno di un benessere immediato – a volte possono avere la meglio facendo sì che non si pensi al benessere a lungo termine e duraturo.
La razionalità è necessaria quando ci si trova in un ambito complesso e sconosciuto. Infatti, anche persone intelligenti e aperte cedono ad alcuni autoinganni (cognitive bias) quali il pregiudizio di conferma (confirmation bias) o l’effetto priming (la prima cosa che vediamo ci colpisce) o recency (l’ultima che abbiamo visto).
Le euristiche (dal greco heurískein “trovare”) sono abilità acquisite dal cervello nel corso dell’evoluzione. Tuttavia le euristiche, che sono immediate ed economiche, sono soggette ad errori a causa dei “bias”, delle distorsioni del giudizio e, pur avendo una grande utilità in condizioni di incertezza perché ci permettono di creare rapidamente una prima impressione, portano a compiere errori sistematici e prevedibili.
Gli studi di Antonio Damasio hanno dimostrando come la razionalità si ancori nell’emozione. Sono proprio le emozioni che orientano il comportamento ed averne consapevolezza aiuta in maniera determinante a contenere le distorsioni di giudizio e “gli errori” nei comportamenti di scelta. Avere consapevolezza del proprio stato emotivo, dei driver comportamentali, può aiutare a contenere gli errori nella scelta alimentare a correggere quei bias di cui inevitabilmente ogni consumatore è vittima.
Fonte: Foodhubmagazine.com