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I cavalli Lipizzani del CREA entrano a far parte del patrimonio UNESCO

La prestigiosa razza equina ammessa nella lista rappresentativa delle eredità culturali immateriali dell’umanità

Sua maestà il cavallo Lipizzano fa il suo ingresso nel patrimonio culturale e storico dell’UNESCO. L’agenzia ONU per l’Educazione, la Scienza e la Cultura ne ha formalizzato l’iscrizione oggi, nel 17° Comitato Intergovernativo in corso a Rabat, in Marocco dal 30 novembre al 2 dicembre. La candidatura è stata presentata il 23 marzo 2020 dal Rappresentante italiano permanente presso l’UNESCO assieme agli ambasciatori di altre sette nazioni (Austria, Bosnia Erzegovina, Croazia, Ungheria, Romania, Slovacchia e Slovenia).

“Il CREA ha fortemente appoggiato questa candidatura, – afferma il presidente Carlo Gaudio – dal momento che, nel nostro centro di Zootecnia e Acquacoltura di Montelibretti (RM), gestiamo l’Allevamento Statale del Cavallo Lipizzano (ASCAL) garantendo il mantenimento, l’addestramento degli esemplari e la promozione della razza”.

La storia del Cavallo Lipizzano è connessa strettamente a quella mitteleuropea e ha assunto una valenza identitaria e simbolica che attrae chiunque vi abbia a che fare. Popolazioni e storie diverse, talora divergenti, hanno trovato nell’allevamento e nella cura dei cavalli Lipizzani un punto di incontro e di comunanza.

Nel 1580 il Granduca Carlo II d’Asburgo, figlio del Re d’Austria e di Spagna Ferdinando I, decise di sviluppare un allevamento di cavalli per gli usi della corte. A tal fine individuò la tenuta di Lipizza, che oggi si trova in Slovenia in prossimità del confine italiano, prendendo in affitto i terreni dal Vescovo di Trieste. Progressivamente l’equile si strutturò sempre meglio (il primo statuto ufficiale risale al 1658) e i cavalli di Lipizza iniziarono a separarsi dall’originale razza spagnola. Il processo divenne ancora più intenso quando, con la morte di Carlo II il 1° novembre 1700, si estinse la dinastia degli Asburgo di Spagna. I caratteri della razza lipizzana come la conosciamo oggi (con il tipico mantello di peli bianchi su cute nera) si imposero nella seconda metà del ‘700. L’anno dopo la fine del primo conflitto mondiale, il 17 luglio 1919, la copia viennese dei Libri genealogici e 109 cavalli Lipizzani vennero consegnati al Regno d’Italia dall’Austria, nell’ambito dei risarcimenti di guerra che gli sconfitti dovettero pagare. Dopo l’8 settembre del 1943, quando la Germania invase il litorale adriatico italiano, i tedeschi trasferirono tutti i cavalli da Lipizza a Hostau, a poca distanza da Praga, e solo la metà di essi tornò in Italia il 18 novembre del 1947, in seguito al recupero rocambolesco ad opera del generale americano Patton. I lipizzani furono portati prima a Pinerolo (TO) e poi a Montelibretti (RM), nell’allora Centro di rifornimento quadrupedi del Lazio. Cessati gli usi militari del cavallo, il 15 febbraio 1955 il nucleo dei cavalli Lipizzani passò al Ministero dell’Agricoltura, che lo affidò al proprio Istituto di ricerca in zootecnia, l’odierno CREA, che custodisce e cura ancora oggi l’allevamento di questa prestigiosa razza equina di origine imperiale.

I riconoscimenti ufficiali. Il primo Decreto di riconoscimento ministeriale del Libro genealogico del Cavallo di razza Lipizzana risale al 31 gennaio 1984, successivamente novellato nel 1996, nel 2004 e nel 2021. Nel 2020, l’iscrizione al “Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali, delle Pratiche Agricole e delle Conoscenze tradizionali” ha consentito all’Italia di chiedere, assieme ad altri sette Paesi europei coordinati dalla Slovenia, l’ingresso delle “Tradizioni dell’allevamento statale del cavallo Lipizzano” nella lista rappresentativa del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

Già nel 2015, il CREA iniziò a discutere con gli allevamenti statali degli altri Paesi interessati l’ipotesi di presentare una domanda di riconoscimento come eredità culturale immateriale all’Organizzazione ONU, che oggi è finalmente divenuta realtà.