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Il 50% dei consumatori non vuole coloranti artificiali nel piatto

L’industria alimentare punta sull’estrazione da prodotti naturali

In occasione di Nuce International e Food-ing International si è discusso, tra l’altro, dell’aumento dell’interesse verso i prodotti nutraceutici, considerati “medicine per le persone in salute”, delle notevoli potenzialità del miele e degli antiossidanti.

Mercoledì 26 settembre 2012 – “I consumatori vogliono prodotti freschi (74%),naturali (67%) e senza coloranti artificiali (50%). Per questo l’industria alimentare cerca sempre di più di rispondere a questa domanda che proviene dal mercato”. È quanto ha affermato Nicola Galaffu del Centro di Ricerca Nestlè di Losanna, che ha presentato oggi i risultati di un’indagine di Nestlè nell’ambito delle fiere Food-ing International, l’esposizione e conferenza dedicata agli ingredienti food & beverage per tutti i settori dell’industria alimentare e delle bevande, e Nuce International, il salone internazionale per l’industria nutraceutica, cosmeceutica, functional foods & drinks e health ingredients, in programma fino a domani, giovedì 27 settembre, a fieramilanocity.

“Il colore degli alimenti è importante perché è considerato indice di freschezza e valore naturale – ha proseguito Galaffu – Negli ultimi anni l’industria alimentare si sta sempre di più muovendo verso i coloranti non artificiali che si ottengono, ad esempio, da estratti di limone, spirulina, spinaci, carote, peperoncino, uva e cavolo rosso”.

Nell’ambito della stessa sessione congressuale Marco Arlorio, dell’Università del Piemonte Orientale, ha aggiunto: “Oggi la visione dei consumatori e quella dei produttori alimentari concordano sull’importanza della sicurezza. Per questo motivo, nell’ambito dei coloranti, stiamo assistendo a un forte sviluppo dell’estrazione con enzimi da prodotti naturali, che gradualmente sostituiscono i coloranti artificiali”.

Raffaello Prugger di Tecnoalimenti, moderatore della conferenza, ha spiegato: “Il consumatore moderno nella scelta degli alimenti è sempre più attento alla qualità del prodotto e alla sue caratteristiche di naturalità. Grande cura viene posta alla lettura dell’etichetta e spesso ingredienti e additivi, che hanno in realtà un’importante funzione nel sostenere la qualità e la shelf-life del prodotto, possono avere un appeal negativo per i consumatori. Gli ingredienti naturali sono più facilmente accettati e rappresentano la chiave per l’etichetta pulita, tuttavia l’industria rileva limiti di impiego nelle prestazioni tecnologiche e nei costi di questi ingredienti”.

Nell’ambito di un’altra sessione congressuale dedicata alla nutraceutica è intervenuto Alberto Ritieni, docente di Chimica degli Alimenti dell’Università di Napoli Federico II, secondo cui“La nutraceutica rappresenta il ponte culturale e di sviluppo tra il settore farmaceutico e quello agro-alimentare. A volere essere ancora più provocatori, i nutraceutici rappresentano le cosiddette ‘medicine per le persone in salute’. Questa affermazione non vuole essere un paradosso, ma solo una semplificazione del ruolo dei nutraceutici nel mantenimento di uno stato di benessere generale positivo e di supporto ad alcune patologie correlate al naturale declino del nostro corpo”.

“La scelta della matrice di dispersione o, in altre parole, il cosiddetto ‘eccipiente’ per veicolare i principi presenti già ‘naturalmente’ negli alimenti di origine vegetale comuni sulla nostra tavola, in forma più concentrata, è di non poco conto – ha proseguito Ritieni – Il raggiungimento di valori di dosi non farmacologiche, ma tale da essere bioattive e modulatrici per alcuni metabolismi mirati, è essenziale per il funzionamento stesso del nutraceutico. Il miele, ad esempio, rappresenta un unicum del tutto particolare: alla sua naturale ricchezza in molecole antiossidanti, in antimicrobici naturali, aggiunge, infatti, la potenzialità di potere essere ‘funzionalizzato’. L’arricchimento per dispersione in una matrice naturale di altri principi naturali ne amplifica non poco le potenzialità. Sono notevoli, quindi, le possibilità di utilizzo del miele per le sue caratteristiche nutraceutiche e biologiche, come dimostra anche un nostro studio effettuato su cinque diversi mieli monofloreali (limone, arancio, mandorlo, fico d’india e nespolo) prodotti da api in un’area ben delimitata della Regione Sicilia. Dallo studio emerge che, considerando la composizione nutrizionale in cui predominano fruttosio e destrosio, in cui mancano completamente grassi e c’è una naturale distribuzione di vitamine e sali minerali, si potrebbe prospettare per il miele il ruolo di vettore di altre componenti nutraceutiche che, solubilizzate o disperse nel miele, permetterebbero di elevarlo a prodotto nutraceutico per eccellenza. Il miele consente anche di superare barriere di tipo sensoriali e gustative che faciliterà la somministrazione di principi nutraceutici anche a particolari gruppi di consumatori come i bambini, gli anziani e gli sportivi”.

In occasione della sessione congressuale Natural Antioxidants: alternative sources and function in human health, il moderatore dell’incontro, Daniele Del Rio dell’Università di Parma, si è soffermato sul significato della parola antiossidante. “Non crediate che la definizione sia semplice, né tantomeno che ci sia una sola definizione – ha affermato Del Rio – La verità è che sta prendendo piede l’ipotesi che il concetto di ‘antiossidante dietetico’ non sia altro che un proxy, cioè un descrittore che accompagna qualche altra funzione apportata da composti che, accidentalmente, sono anche antiossidanti. L’esempio più calzante per far capire questa novità è quello dei polifenoli. I polifenoli sono una classe vastissima di composti, che da anni sono associati, almeno dal punto di vista epidemiologico, alla prevenzione delle patologie croniche. La letteratura ha associato i benefici apportati da questi composti alla loro attività antiossidante, ma questa conclusione, a dire il vero un po’ affrettata, sta lasciando spazio a smentite a volte anche clamorose. I meccanismi d’azione che stanno emergendo per i polifenoli sono completamente avulsi dalla semplice attitudine antiossidante e risultano di anno in anno più specifici e dettagliati. Tuttavia, gli antiossidanti resistono, se non alla prova della scienza, almeno a quella del tempo. Forse è un bene, perché la misura della capacità antiossidante della dieta è molto più semplice di quella di ogni singolo composto polifenolico e risulta comunque una buona approssimazione dell’apporto di polifenoli con frutta, verdura e bevande derivate”.

Un’altra sessione è stata dedicata all’approccio omics nelle scienze nutraceutiche. Il neologismo omics indica l’ampio numero di discipline biomolecolari che presentano questo suffisso (ad esempio, genomics, proteomics o metabolomics). In questo contesto è intervenuto Francesco Visioli di Imdea Food, che ha dichiarato: “Quando parliamo di grassi non ci riferiamo solo alle calorie, ma anche a importanti componenti delle cellule. I grassi che mangiamo cambiano la composizione delle membrane cellulari e, quindi, possiamo modificare il modo con cui le cellule funzionano. Esistono tecniche che permettono di analizzare con precisione le composizione in acidi grassi del plasma, delle cellule e dei tessuti. L'insieme di queste tecniche va sotto il nome di lipidomica, cioè l'analisi della composizione e distribuzione dei lipidi nell'organismo. Usando tecniche di lipidomica si possono monitorare i cambiamenti nella composizione in acidi grassi che le diverse diete apportano e si possono ottimizzare diete o trattamenti con nutraceutici e alimenti funzionali”.