L’Europa vuole salvare il Pianeta, ma la sua percentuale di inquinamento da plastica è solo del 5 per cento
Il commento di Massimo Bellotti e Massimiliano Persico di Carton Pack
Il Parlamento europeo ha discusso ieri, 21 novembre e voterà oggi, 22 novembre la sua posizione sulle nuove regole per rendere gli imballaggi più facili da riutilizzare e riciclare, per ridurre gli imballaggi inutili e i rifiuti, e per promuovere l’uso di materiale riciclato.
Per quanto concerne il nuovo Regolamento Ppwr (Packaging and Packaging Waste*), al vaglio ci sono circa 2.600 emendamenti di compromesso. Uno di questi riguarda gli imballaggi monouso per frutta e verdura fresca inferiori a 1 kg (1,5 kg era la proposta iniziale, ndr), da eliminarsi a meno che non sia dimostrata la necessità di evitare la perdita di acqua, l’inverdimento o la perdita di turgore, i rischi microbiologici o gli urti fisici, o a meno che questi prodotti non siano soggetti a Dop e Igp, ai sensi della legislazione dell’Unione europea.
Solo in Italia, l’industria della plastica ha un fatturato di oltre 13 miliardi di euro, conta oltre 50.000 addetti e ha un indotto di quasi 3.000 aziende. “Uno shock sistemico non è sostenibile, specie se non vengono offerti strumenti o linee guida in grado di raggiungere gli obiettivi o valutare percorsi alternativi. Gli imballaggi ortofrutticoli vengono trattati alla stregua delle cannucce monouso”, riferiscono Massimo Bellotti e Massimiliano Persico, rispettivamente direttore commerciale estero e direttore marketing di Carton Pack, gruppo di aziende che fabbrica prodotti di diversi materiali. La realtà italiana offre alternative e soluzioni, adattate alle normative ma soprattutto alle esigenze dei clienti, cui viene offerto un lavoro di consulenza.
“Da quando i Paesi membri hanno dato delega alla Commissione Envi per legiferare in tema di ambiente, sanità pubblica, sicurezza alimentare e transizione ecologica, tale Commissione ha cominciato a fare delle proposte abbastanza stringenti che cozzano con il percorso equilibrato e coerente che è stato (e dovrebbe continuare a essere) portato avanti. L’Europa vuole salvare il mondo e avere il merito nella storia di essere stata precorritrice di un’esigenza planetaria: peccato che la percentuale di inquinamento da plastica del nostro continente rappresenti solo il 5%. E’ una ‘mission quasi impossible’ da realizzare da soli e a pagarne le spese sono proprio le industrie più virtuose”, sottolinea Persico.
“Non sono stati valutati gli impatti che deriverebbero dal nuovo Regolamento, qualora fosse approvato. Le decisioni che si stanno prendendo a livello europeo stanno tenendo poco in conto l’aspetto dello spreco alimentare, in termini sia di consumo sia di produzione sostenibile. Se si traccia una linea guida che contempla dal 2025 (praticamente domani!) l’eliminazione degli imballaggi in plastica sotto 1,5 kg, si sta andando a colpire una serie di prodotti delicati – in primis i piccoli frutti per quanto concerne il settore ortofrutticolo – che necessitano di protezione, integrità e freschezza”.
“Nel corso del tempo, in Europa sono stati fatti tanti investimenti per garantire imballaggi sempre più performanti e riciclabili. L’Italia è da 25 anni che lavora sul riciclo e siamo ai primi posti nei target raggiunti: almeno l’80% della plastica per l’ortofrutta proviene da plastica riciclata. Sullo spreco alimentare, negli anni la filiera si è indirizzata verso l’utilizzo di film con un alto grado di impermeabilità o film attivi che, attraverso la microperforazione laser, permettono una respirazione adeguata e una shelf life più lunga”. L’impatto del nuovo Regolamento si riverserà anche a livello sociale e a livello di consumi. “Non si troverà più l’insalata di IV gamma nel banco frigo del supermercato con imballo inferiore a 1,5 kg e sarà dura far accettare al consumatore che potrà solo acquistare buste da quel peso in su”.
“Il packaging è un mezzo necessario – sottolinea Persico – Sarebbe interessante che la Commissione valutasse una struttura federativa: una volta fissati i target, dovrebbe lasciare libere le singole nazioni europee di strutturarsi adeguatamente e raggiungere quegli obiettivi specifici. Non si può intervenire a livello strutturale sull’industria, stravolgendola, e sulla società dei singoli Paesi. Chiediamo flessibilità”.
Bellotti, di ritorno dalle fiere di Madrid e Anaheim e da un recente evento in Marocco, riferisce: “Per quanto riguarda l’Europa e il Marocco, c’è un’attesa generalizzata e forte incertezza da parte degli operatori riguardo il nuovo Regolamento europeo. In Francia esiste già una legge che ha condizionato molto le scelte degli operatori, la AGEC (Loi Anti-gaspillage pour une économie circulaire), ma è ovvio che se l’Ue optasse per il nuovo regolamento proposto, la Francia dovrà adattarsi alla direttiva europea. Prodotti importanti, come pomodori, uva e drupacee, dovrebbero in quel caso essere obbligatoriamente imballati senza plastica, al di sotto di 1,5 kg. E’ per questo motivo che c’è un interesse crescente verso imballaggi alternativi”.
“Da tempo, la Grande distribuzione europea, in primis Germania e Scandinavia, ha iniziato a lavorare con imballaggi che presentano meno plastica, quali confezioni miste con base in cartone e coperchio in plastica o top-seal. Non parliamo più solo di marketing di prodotto, ovvero lo studio del consumatore e delle sue scelte. Il quadro normativo fa pressione, come la fanno le lobby ambientaliste. Di conseguenza, il consumatore ne viene influenzato, facendo a sua volta pressione sul versante imballaggio sostenibile”.
Quello degli Stati Uniti è invece un mercato diverso da quello europeo, secondo Bellotti. “Fino a pochissimo tempo fa, gli americani non si sono minimamente preoccupati della questione legata a materiali e sostenibilità dell’imballaggio. Per il 98% viene ancora utilizzata la plastica e non sono in atto misure per ridurne il consumo. Questa situazione la si registra non solo in America ma anche nei Paesi asiatici, dove forma e presentazione risulta fondamentale. Però vediamo una svolta almeno in Canada e California. Il governo canadese ha già legiferato a favore dell’utilizzo di materiali riciclabili e riciclati, con il bando del PVC o del polistirolo, ad esempio. E vediamo molti operatori canadesi alla ricerca di alternative. Lo stesso lo si può constatare in California, dove presto si dovrebbero raggiungere direttive simili a quelle canadesi”.
Innovazioni di packaging
“E’ importante sottolineare che l’attenzione dei big player verte su scelte di materiali alternativi alla plastica, che possano adattarsi alle loro automazioni – spiega Bellotti – Questa è la grande sfida: in un periodo di forte inflazione, evitare grandi nuovi investimenti e contenere i costi. Per noi di Carton Pack non è una questione solo di adattarsi alle normative, ma di lavorare insieme ai nostri clienti attuali e nuovi. Ad esempio, abbiamo sviluppato un flow pack in carta, che si adatta perfettamente alla maggior parte delle linee di confezionamento flow pack già esistenti. Le macchine già in uso dovranno essere solo settate. Lo stesso stiamo facendo sul confezionamento rigido, con cestini in polpa di legno e carta, richiudibili tramite meccanizzazione. Infine, stiamo lavorando su un cestino con top-seal monomateriale”.
Nello specifico del peso variabile, serve una maggiore flessibilità. “Abbiamo lavorato per tanti anni con confezioni a peso fisso, perché facilita la gestione informatica dei dati (prodotto in entrata, in uscita e scarti). In ambito di sostenibilità, però, oggi dobbiamo creare nuovi standard. Negli imballaggi sfusi, finora sono stati considerati prevalentemente gli alveoli. Esistono però altri sistemi: in Germania, ad esempio, utilizzano dei cestini aperti in plastica, carta o polpa di legno. Come Carton Pack, stiamo sviluppando sempre di più i sacchetti di carta, con manici, che riducono la quantità di pre-imballato. Uno ‘sfuso ordinato’, potremmo definirlo, dove inserire da 300 grammi a 1,5 kg di prodotto”, conclude Bellotti.
*Imballaggi e rifiuti di imballaggio
Per maggiori informazioni:
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