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Mozzarella di bufala, ora si contano i danni

Dopo gli scambi d’accuse, i blocchi all’import e le rassicurazioni sull’assenza di pericoli, è arrivato il momento di quantificare i danni.
La storia ha inizio alcuni giorni fa, quando alcuni paesi come ad esempio il Giappone, la Corea e in ultima la Cina, decidono di avviare delle misure restrittive all’import di mozzarella di bufala italiana. La causa sembra essere il livello di diossina, ritenuto superiore ai limiti di guardia dai paesi in questione e poco rassicurante – almeno fino ai giorni scorsi – da parte dell’Unione Europea. Successivamente al precipitare degli eventi l’Italia porta i dati in suo possesso all’attenzione della UE, la quale decide di ritirare l’allarme valutando come ‘sufficienti’ le indicazioni inviate dal governo italiano.
Ma l’allarme non si placa, e in una girandola di blocchi, polemiche e dietrofront, si arriva alle dichiarazioni della Coldiretti, uno degli organi dei coltivatori che più si sta dimostrando attivo nelle grandi battaglie a tutela dell’agroalimentare.
Per bocca del suo ufficio statistico, la Coldiretti ha quantificato in 500 mila euro la perdita che ogni giorno subiscono i caseifici produttori di uno degli alimenti più apprezzati in Italia e all’estero, la mozzarella di bufala. Sempre secondo i responsabili, la situazione potrebbe non tornare alla normalità prima di un mese, nonostante le rassicurazioni provenienti dall’unione Europea oltre che dal ministro De Castro.
Tempi duri per la mozzarella. Dopo l’emergenza mucca pazza e la psicosi aviaria, questa volta la drammatica situazione dei rifiuti ha causato alla Campania (produttrice del 90% del pregiato formaggio dop) non solo un danno d’immagine ma anche economico che, come si è visto, a cascata sta lentamente ricadendo su tutta la produzione agroalimentare del territorio.
E la mozzarella di bufala non è un mercato qualunque: l’export del prodotto ricopre il 16% della produzione, che impiega oltre 20 mila persone. Delle tonnellate destinate all’estero, la maggior parte finiscono in Europa, anche se da qualche tempo il mercato ha aperto nuove vie verso l’Oriente e la Russia.
Dopo le rassicurazioni della UE, ora si aspetta che anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità faccia cessare l’allarme. Cosa che avverrà solo dopo controlli a tappeto in tutta la filiera.
La tempesta, insomma, deve ancora terminare.

Alessandro Tibaldeschi