Non c’è Pace fra Ue e Cina nonostante i reciproci scambi di prodotti tutelati
Per trovare uno scontro frontale tra Europa e Cina bisogna andare indietro fino al lontano 1989. I carrarmati del PLA, l’Esercito Popolare di Liberazione cinese, avevano appena represso nel sangue le manifestazioni per la democrazia a Piazza Tienanmen. La Cina dell’epoca, guidata dal riformista Deng Xiaoping, era un Paese molto diverso dal regno odierno dell’”imperatore” Xi Jinping, l’Europa pure (non era nemmeno ancora nata la UE così come la conosciamo oggi), e il Mondo intero era molto diverso. Allora, un embargo sulle armi – ancora oggi in vigore – aveva messo con decisione l’Europa dalla parte dei manifestanti che chiedevano democrazia, massacrati a Tienanmen.
Oggi, 32 anni dopo – con una mossa che ha sorpreso un po’ tutti – l’Europa, l’Unione Europea, entra impetuosamente in rotta di collisione con Pechino, confermando le sanzioni – già annunciate nei giorni scorsi – nei confronti di diversi funzionari e di una entità cinesi per la loro responsabilità nella feroce repressione contro gli Uiguri, la minoranza di religione musulmana, nella regione di confine dello Xinjiang. Le misure adottate oggi fanno parte di un pacchetto di sanzioni per colpire i responsabili della violazione dei diritti umani contro una dozzina di persone che, oltre alla Cina, includono individui o istituzioni anche in Russia, Corea del Nord, Eritrea, Sud Sudan e Libia. I diplomatici europei hanno affermato che le nuove sanzioni contro la Russia riguarderanno le persone che stanno dietro gli abusi nella regione della Cecenia, governata con pugno di ferro dal lealista del Cremlino Ramzan Kadyrov e che l’UE inoltre imporrà il congelamento dei beni e il divieto di visto a 11 funzionari della giunta birmana responsabili del sanguinoso colpo di stato militare del mese scorso e della feroce repressione dei manifestanti. Ma è indubbio che la decisione più clamorosa tra quelle varate oggi sia quella assunta nei confronti dei funzionari di Pechino
Nel mirino della Ue soprattutto Chen Mingguo, direttore dell’Ufficio di pubblica sicurezza dello Xinjiang, ritenuto responsabile di “gravi violazioni dei diritti umani”. Nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione si legge che i diplomatici europei lo hanno riconosciuto colpevole di “detenzioni arbitrarie e trattamenti degradanti inflitti agli uiguri e alle persone di altre minoranze etniche musulmane, nonché di violazioni sistematiche della loro libertà di religione o credo”. Gli altri colpiti dai provvedimenti europei, che prevedono divieti di viaggio e congelamento dei beni in Europa, sono gli alti funzionari cinesi Wang Mingshan e Wang Junzheng, l’ex vice segretario del partito nello Xinjiang, Zhu Hailun e l’Ufficio di pubblica sicurezza del corpo di produzione e costruzione dello Xinjiang. I beni e i conti correnti eventualmente da loro posseduti in Europa o in banche europee sono stati congelati, il loro ingresso sul territorio dell’Unione vietato, ed è stato emesso anche un divieto assoluto da parte di qualsiasi cittadino o entità europea di fare affari o collaborare con loro.
La reazione cinese non si è fatta attendere: Pechino ha annunciato in queste ore la decisione di imporre sanzioni a 10 politici dell’UE, al principale organo decisionale di politica estera dell’UE noto come Comitato politico e di sicurezza e a due importanti gruppi di lavoro europei. Il politico tedesco Reinhard Butikofer, che presiede la delegazione del Parlamento europeo in Cina, è stato tra le figure di più alto profilo ad essere colpite dalla ritorsione cinese. Anche la Fondazione no-profit Alliance of Democracies, fondata dall’ex segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, è stata inserita nella lista nera, secondo una dichiarazione del ministero degli Affari esteri di Pechino. Nell’annunciare le controsanzioni, la Cina ha ancora una volta negato qualsiasi veridicità nelle accuse europee (già fatte proprie da tempo anche dagli Stati Uniti e da larga parte della Comunità Internazionale) negando qualsiasi violazione dei diritti umani nello Xinjiang e affermando che i famigerati “campi” (che secondo le dichiarazioni recenti degli americani sarebbero autentici campi di concentramento finalizzati al genocidio degli Uiguri) forniscono invece soltanto formazione professionale e sono necessari per combattere l’estremismo. “Questa mossa, basata su nient’altro che bugie e disinformazione, ignora e distorce i fatti” ha detto ancora il Ministro degli Esteri, che ha esortato l’UE a “correggere il suo errore” e a non interferire ulteriormente negli affari interni della Cina.
Tutti i 27 governi dell’UE hanno sottoscritto le misure punitive, ma il ministro degli esteri ungherese, Peter Szijjarto, le ha definite “dannose” e “inutili”, mentre il ministro degli Esteri slovacco Ivan Korcok ha dichiarato invece che si tratta di “un passo molto importante che dimostra come la UE sia in prima linea nella difesa dei diritti e della democrazia nel Mondo”, riflettendo le divisioni all’interno dell’Europa su come affrontare l’ascesa della Cina e proteggere gli interessi commerciali. Nell’ambito della discussione, infatti, diversi esponenti della politica europea hanno ricordato che queste nuove sanzioni arrivano solo pochi mesi dopo la firma, da parte della stessa UE, di uno storico accordo di investimento con la Cina (il CAI, Comprehensive Agreement on Investment), che ha richiesto più di sette anni di negoziati e che deve ancora essere ratificato. Un accordo che “se dovesse andare in parlamento ora, semplicemente non sarebbe ratificato”, ha detto un anonimo funzionario europeo al quotidiano di Hong Kong, il South China Morning Post. A questo proposito Engin Eroglu, un eurodeputato tedesco che è anche membro dell’Alleanza Interparlamentare sulla Cina, ha dichiarato che “ciò di cui avremmo bisogno per ratificare il Cai, a parte l’impegno del PCC di aderire agli standard dell’International Labour Organization contro il lavoro forzato, sono misure concrete come una legge europea sulla catena di approvvigionamento e il divieto assoluto di importazione di prodotti frutto del lavoro forzato”.
“Sosteniamo pienamente i nostri colleghi che sono stati sanzionati dal governo cinese. Attaccare i membri del Parlamento liberamente eletti mostra il disprezzo che Pechino nutre per la democrazia. Non ci lasceremo intimidire. Le misure dell’Ue contro la Cina hanno il nostro pieno appoggio” ha scritto su Twitter l’eurodeputato tedesco Manfred Weber, presidente del gruppo del Ppe al parlamento europeo.
La scorsa estate l’UE aveva approvato alcune lievi sanzioni nei confronti della Cina, inclusa la restrizione degli accordi di estradizione, a causa della repressione di Pechino su Hong Kong. E in una dichiarazione della scorsa settimana, il massimo diplomatico dell’UE, Josep Borrell, ha sottolineato che l’Europa “prenderà in considerazione l’adozione di ulteriori misure”, anche se non è ancora chiaro quali potrebbero essere questi ulteriori passaggi nei confronti di Pechino. Alcuni diplomatici non hanno escluso ulteriori sanzioni, ma altri hanno sottolineato che l’UE deve prima “affinare” il suo rapporto con la Cina, trovando il giusto equilibrio tra sanzioni e investimenti.
Attivisti ed esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite affermano che almeno 1 milione di musulmani sono detenuti nei campi nella remota regione occidentale dello Xinjiang e accusano la Cina di ricorrere alla tortura, al lavoro forzato e alle sterilizzazioni di massa per piegare gli Uiguri e costringerli a quella che è stata definita una “assimilazione forzata”. Recentemente, gli uiguri in esilio hanno fatto appello anche alla Corte Penale Internazionale (ICC) per indagare su leader cinesi di alto rango, tra cui il presidente Xi Jinping, per genocidio e crimini contro l’umanità.
La denuncia è stata presentata dal Governo del Turkistan Orientale in Esilio (East Turkistan Government in Exile, ETGE) e dal Movimento di Risveglio Nazionale del Turkistan Orientale (East Turkistan National Awakening Movement, ETNAM). “Per troppo tempo si è pensato che la Corte Penale Internazionale non potesse fare nulla”, ha detto Rodney Dixon, che guida il gruppo di avvocati presso il Tribunale Internazionale. “Ora esiste un chiaro percorso legale verso la giustizia per i milioni di uiguri che sono perseguitati in massa dalle autorità cinesi. Si tratta un’opportunità importante che ci spinge ad invitare la Procuratrice dell’ICC a perseguire senza indugio. Questa possibilità non dovrebbe essere sprecata”.
A partire dal 2017, le detenzioni di uiguri, kazaki, hui e altre minoranze hanno iniziato a intensificarsi nello Xinjiang. La prima ondata prese di mira gli imam uiguri e i religiosi devoti. Presto vennero arrestati anche accademici, romanzieri, giornalisti e intellettuali di spicco. La polizia e gli agenti di sicurezza utilizzano vari pretesti per giustificare le detenzioni, compresi i viaggi all’estero, avere la barba e il possesso di un tappeto da preghiera.
Stime accademiche sulla dimensione della campagna di internamento dello Xinjiang – chiamata programma “Trasformazione attraverso l’istruzione” dai funzionari del Partito Comunista – parlano di oltre un milione di persone detenute in via extragiudiziale, cifra che il governo cinese ha sempre contestato con forza. Un rapporto interno del dipartimento dell’agricoltura dello Xinjiang, redatto al culmine della campagna di internamento, riferiva che “tutto ciò che è rimasto nelle case sono gli anziani, le donne deboli e i bambini”. Secondo l’Onu, si tratta probabilmente del più grande internamento di minoranze etniche e religiose dalla seconda guerra mondiale. Dopo aver lasciato i campi, alcuni detenuti vengono trasferiti con la forza in fattorie e fabbriche, o tenuti agli arresti domiciliari. Alcune minoranze etniche che non vengono mandate nei campi vengono condannate a lunghe pene detentive. In una lettera congiunta lo scorso settembre, ventitré gruppi per i diritti umani hanno affermato di ritenere che le azioni del governo cinese possano soddisfare le definizioni delle Nazioni Unite di crimini contro l’umanità e genocidio.
Autore: Marco Lupi – Corrispondente Huffington Post
https://www.huffingtonpost.it/author/marco-lupis