OCM: lo strumento che regola nella sua totalità il VINO
Lo stato dell’arte dell’Organizzazione comune di mercato del vino, alla vigilia della sua scomparsa e della sua fusione con la Politica agricola comune (Pac)
Verona, aprile 2013 – Dietro alla crescita costante dell’export degli ultimi anni del vino italiano (ed europeo), c’è di sicuro l’impegno dei produttori, ma anche il “sostegno” dato al settore dall’Ocm Vino, che, partita nel 2008 portando di riflesso alla riscrittura della legge quadro nazionale del vino, si esaurirà con il 2013, per essere inclusa, dal 2014, nella Politica Agricola Comunitaria.
In attesa di sapere l’esito dei negoziati sulla Pac, si sa già che per l’Italia, per la prossima annualità, dovrebbero essere a disposizione 337 milioni complessivi, vale la pena guardarsi un attimo indietro per capire quale sia stato l’impatto di questo strumento fondamentale per la viticoltura europea, e per pianificarne al meglio, per quanto possibile, il futuro. Il tema sarà al centro del dibattito di Vinitaly, la rassegna internazionale di riferimento del settore, di scena a Verona dal 7 al 10 aprile (www.vinitaly.com).
Il bilancio dell’ultima Ocm vino, stilato dalla Commissione Europea è estremamente positivo.
I numeri? Dal 2007 al 2011-2012 la produzione europea è passata da 186 milioni di ettolitri complessivi a 163. Un calo dovuto anche agli andamenti climatici e alla conduzione del vigneto nelle diverse annate, ma soprattutto alla riduzione della superficie del vigneto comunitario, che nello stesso periodo, per la Commissione, ha perso 370.000 ettari, il 10% del totale, sia per gli incentivi all’estirpo, sia per la graduale scomparsa dei budget per la distillazione di crisi. E se, nel complesso, in 5 anni, la produzione è scesa di 23 milioni di ettolitri, sono diminuiti anche i consumi di 12 milioni di ettolitri. Nel contempo, però sono cresciute decisamente le esportazioni dall’Unione, passate da 17,8 milioni di ettolitri nel 2007, a 22,8 milioni di ettolitri nel 2011, con un saldo attivo della bilancia commerciale Ue salito, nel pieno della crisi economica mondiale, da 3,2 a 5,7 miliardi di euro, anche grazie ai tanti finanziamenti per la promozione del vino europeo nei Paesi terzi.
Questo è il passato, ora bisogna guardare al futuro e mentre sarà l’Unione Europea a decidere quali saranno i budget per ogni Paese produttore, proprio in questi giorni in Italia le organizzazioni di filiera, da Federvini a Unione Italiana Vini, da Coldiretti a Confagricoltura, da Cia – Confederazione Italiana Agricoltori a Fedagri Confcooperative, stanno dialogando con il Ministero delle Politiche Agricole per migliorare la gestione dei bandi nazionali, sia dal punto di vista della ripartizione delle risorse per ogni misura prevista (dalla promozione alla ristrutturazione dei vigneti, dalle assicurazioni sul raccolto alla vendemmia verde), che dell’accessibilità e della competitività rispetto ai partner europei, soprattutto sul fronte della promozione.
Tra i nodi più importanti da sciogliere, la possibilità, per gli stessi soggetti, di proseguire con piani pluriennali negli stessi Paesi, ad oggi non prevista, ma fondamentale in mercati grandi come quelli degli Stati Uniti o della Cina; la possibilità di poter giustificare con più semplicità e flessibilità alcune spese realizzate in economia; rivedere alcuni criteri di fatturazione delle spese sostenute all’estero attraverso, ad esempio, i distributori locali.
Altro aspetto sotto i riflettori dell’Ocm, quello che riguarda l’annosa questione della liberalizzazione dei diritti di impianto dei vigneti, prevista in un primo momento dal 2015, poi rinviata ma sulla quale ancora non c’è chiarezza. Gli Stati Membri con decisione nazionale, possono, ad oggi, mantenere in diritti di impianto fino al 2018. La Commissione Ue era partita da quella regola già scritta; il Consiglio, sulla base delle conclusioni del Gruppo di alto livello voluto dal Commissario Dacian Ciolos, ha indicato che a partire dal 2019 si agirà con titoli gratuiti, per rivedere il quadro dopo sei anni; il Parlamento Europeo, invece, ha votato per mantenere fino al 2030 il blocco degli impianti. Da queste posizioni si ripartirà per la ricerca del compromesso delle posizioni fra Consiglio e Parlamento Europeo, con la Commissione Ue nel ruolo di “facilitatore”.
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