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“Salvate le ragazze che lottano per l’Iran, in cella moriranno”


Le prigioniere politiche iraniane stanno subendo una repressione brutale nella sezione femminile del carcere di Evin. Come attiviste e attivisti per i diritti umani, siamo solidali con le donne iraniane e chiediamo un’indagine internazionale indipendente.

Settanta donne di idee, affiliazioni e generazioni diverse sono attualmente prigioniere politiche nella più famigerata delle carceri iraniane. Vi si trovano ingiustamente, solo per aver lottato per la libertà e per i diritti umani in Iran.

Da lì, ci hanno raccontato che il 6 agosto le forze di sicurezza e le guardie penitenziarie hanno fatto irruzione nella loro sezione con una violenza brutale. Secondo le informazioni ricevute, verificate e confermate da diversi organi di stampa indipendenti, numerose prigioniere politiche sono state picchiate dalle guardie penitenziarie e dagli agenti di sicurezza perché protestavano per l’impiccagione di Reza (Gholamreza) Rasaei, avvenuta quella mattina.

Le prigioniere avevano già manifestato in modo analogo, a volte di loro iniziativa e a volte per contribuire ad altre mobilitazioni, per chiedere l’annullamento delle condanne a morte della loro compagna di prigionia Pakhshan Azizi – una giornalista iraniana di origini curde – e di altre tre donne: l’attivista per i diritti del lavoro Sharifeh Mohammadi, l’attivista per i diritti delle donne Varisheh Moradi e Nassim Gholam Simiari.

A causa dell’aggressione e delle gravi ferite inflitte, numerose prigioniere hanno perso conoscenza e altre sono state steccate dopo un esame sommario da parte del medico del carcere, senza ricevere cure mediche adeguate.

Nel contesto dell’aumento della repressione interna contro attiviste e attivisti per i diritti umani e contro dissidenti politici, esprimiamo allarme per l’aumento delle esecuzioni che hanno raggiunto un drammatico picco il 7 agosto, con 29 esecuzioni in una sola giornata, 26 delle quali collettivamente nella prigione Gesel Hasar della città di Karaj.

Lontano dagli sguardi dell’opinione pubblica e mentre l’attenzione della stampa si concentra sulle crescenti tensioni in Medio Oriente, la Repubblica islamica iraniana continua la sua guerra principale: quella in grande stile contro chi le si oppone e contro le donne iraniane.

Ora più che mai le prigioniere del carcere di Evin si ergono come bastione della resistenza nella lotta per la libertà. Queste donne, ingiustamente e illegalmente detenute come prigioniere politiche, meritano la nostra ammirazione e urge mobilitarci per loro.

In solidarietà con le donne e gli uomini che continuano a rischiare la loro vita per lottare in favore dello stato di diritto, della pace e della democrazia in Iran, noi e le nostre organizzazioni chiediamo:

l’immediata cessazione della pena di morte, una punizione inumana e degradante, coerentemente col nostro impegno per l’abolizione universale della pena capitale;

la scarcerazione di tutte le prigioniere e i prigionieri, arbitrariamente in carcere per motivi politici e di coscienza e la fine dei procedimenti giudiziari che violano i diritti alla difesa e a un processo equo;

– l’immediata attuazione, da parte dello stato iraniano, di misure che garantiscano l’incolumità fisica e psicologica delle persone detenute in tutto il paese, soprattutto nella sezione femminile del carcere di Evin;

– l’avvio di un’indagine indipendente internazionale per scoprire la verità sulle violenze commessi contro le prigioniere politiche di Evin, le cui incriminazioni dovranno essere doverosamente ricevute dalle autorità iraniane.

Di Shirin Ebadi, Taghi Rahmani*, La Stampa

*tutte le firme sul profilo instagram @narges_mohamadi_51