Sempre più sequestri alle dogane Ue di prodotti alimentari contraffatti
Sono oltre 2 milioni i prodotti alimentari contraffatti sequestrati nel 2007 alle dogane degli Stati Membri dell’Unione Europea; con una crescita del +62% rispetto al 2006. Di questi oltre 47 mila violavano i marchi Dop-igp. Solo i prodotti per la “cura della persona” (+264%), i giocattoli (+98%), “orologi e gioielleria” (+89%) hanno visto crescere in misura maggiore il numero di articoli sequestrati. Ancor prima della Cina (37%), il principale paese di provenienza di prodotti alimentari contraffatti, è la Turchia (46%). Oltre 47 mila i prodotti alimentari sequestrati (circa il 2,5% del totale della categoria) perché usavano impropriamente i marchi a denominazione di origine (Dop, Igp). La possibilità di protezione del Made in Italy agroalimentare è oggi ancora debole, poiché le Dop e le Igp al di fuori dei confini comunitari non godono di nessuna protezione tanto che non è ancora possibile parlare di contraffazione in senso stretto ma solo di imitazione confusoria. L’attività di tutela di molti prodotti a denominazione d’origine è così delegata alle imprese e ai Consorzi di Tutela su cui ricade l’intero onere di controbattere tale fenomeno. Il Made in Italy agroalimentare è ancora una volta davanti ad un crocevia complesso, reso particolarmente difficile dalla congiuntura internazionale: occorre quindi continuare l’intensa attività di controllo in ambito nazionale senza dimenticare l’importante sfida di difesa della competitività in quelli internazionali; una difesa che deve continuare ad essere portata avanti nell’ambito dei negoziati Wto con l’istituzione di un Registro Multilaterale delle indicazioni geografiche. La questione della tutela internazionale rappresenta un obiettivo prioritario nell’ambito dei negoziati in sede Wto per i Paesi dell’Unione Europea, e soprattutto per l’Italia. L’italia vanta il paniere più ampio in termini di denominazioni tutelate a livello europeo: 177 prodotti su 835 registrati a Bruxelles. Se però esuliamo un attimo l´analisi dal mero numero delle registrazioni e ci soffermiamo sui valori delle esportazioni di prodotto Dop e Igp – in particolare al di fuori dei confini comunitari, dove appunto la tutela della denominazione non ha validità – ci accorgiamo che la richiesta dei Paesi comunitari per l´istituzione del Registro Multilaterale assume una validità più prospettica che attuale. Il valore dell´export di prodotti Dop e Igp italiani è di poco superiore al miliardo di euro (pari a circa il 20% del fatturato complessivo dei prodotti Dop e Igp) e solamente il 35% di questo è destinato ai mercati extra-Ue, dove appunto non esiste ad oggi nessuna tutela (e da qui i noti fenomeni di imitazione confusoria/italian sounding). Se poi consideriamo i principali prodotti Dop e Igp (i primi 10 fanno da soli l´85% dell´intero fatturato del paniere tutelato) e guardiamo a quelli le cui esportazioni extra-Ue incidono per almeno il 5% del proprio fatturato complessivo, allora ci dobbiamo riferire ad appena 6 prodotti (Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, Gorgonzola, Pecorino Romano e Asiago). La stessa cosa accade – addirittura con minor rilevanza – per i formaggi Dop francesi. Nel caso di quelli principali (Roquefort, Brie, Camembert) le esportazioni extra-Ue considerate congiuntamente non superano i 70 milioni di euro, pari al 16% del relativo export complessivo (pari a 394 milioni di euro). In altre parole, la bontà e validità di un Registro Multilaterale delle indicazioni geografiche non è discutibile. Si potrebbe invece discutere sulle modalità di raggiungimento di un accordo su tale capitolo del negoziato, magari concentrando le forze sulla tutela di un numero ristretto di Dop e Igp (per l´Italia si tratterebbe di un numero inferiore a 10) che, a conti fatti, rappresentano la quasi totalità delle esportazioni di prodotti tutelati in ambito extra-Ue. Agricoltura/ Nel 2008 l’Italia mantiene la posizione di leader come partner commerciale degli Usa nel settore formaggi, ma il comparto dei pecorini attraversa un momento di difficoltà Nessun Paese insidia ancora la leadership italiana sul mercato americano dei pecorini, identificabile con la tipologia Pecorino Romano, per cui l’Italia detiene oltre la metà del mercato di import, sia in quantità che in valore (54% e 58% le rispettive quote). Il 2008 segna però un momento di difficoltà per il nostro Paese che vede diminuire del 15% i quantitativi di Pecorino Romano venduti negli Stati Uniti, a causa soprattutto dei trend negativi registrati negli ultimi mesi dell’anno. Grazie al deciso incremento del prezzo si mantiene invece invariata le quota italiana in valore. Il costante rafforzamento della valuta europea sul dollaro non ha impedito anche al prezzo espresso in euro di crescere (passato da 5,3 €/Kg nel 2007 a 6,2 €/Kg nel 2008), evidenziando il forte apprezzamento del prodotto italiano in Usa e un riposizionamento verso prodotti di più alta qualità. Secondo quanto è emerso dal bollettino congiunturale relativo all’anno 2008, che sintetizza e approfondisce le analisi mensili previste dall’Osservatorio Nomisma, l’Italia conferma, anche per l’annualità appena conclusa, il ruolo di primo piano esercitato come partner commerciale degli Stati Uniti nel settore dei formaggi nel complesso, vantando una quota di mercato del 20% in quantità e del 28% in valore. Il nostro paese infatti si colloca sul mercato statunitense con prodotti con standard qualitativi elevati e un prezzo nettamente superiore al prezzo medio degli altri formaggi importati. Il progetto, giunto ormai alla nona annualità, ha lo scopo di monitorare il mercato del Pecorino Romano negli Stati Uniti, principale bacino di commercializzazione del Pecorino Romano all’estero. L’attività dell’osservatorio prevede l’analisi mensile dei dati di importazione statunitense di Pecorino Romano dall’Italia e dai principali competitor internazionali, esaminando le principali dinamiche del mercato dei formaggi a base di latte ovino in un’ottica di breve e medio periodo. .