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Troppa la concorrenza estera al miele italiano

Si sono chiusi il 30 gennaio, i lavori del XXII Congresso nazionale dell’apicoltura professionale, in svolgimento da martedì nella cornice dell’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo. Nei sei giorni di dibattito numerosi addetti ai lavori si sono confrontati sullo stato di salute del settore, discutendo sul presente e sulle prospettive di chi, con passione, si dedica anima e corpo alla produzione di miele. L’apicoltura occupa una posizione di tutto rispetto nel panorama agricolo italiano e, elemento da non trascurare, è un settore animato dalla presenza di un discreto numero di giovani motivati e decisi a investire nel futuro della loro professione.L’ampia disponibilità della materia prima è la caratteristica che fa dell’apicoltura un settore particolare. Il nettare dei fiori e le altre secrezioni delle piante utilizzate dalle api per fare il miele si trova in buona quantità nelle campagne, senza dover ricorrere a tecniche che stressano l’ambiente per incrementare la produttività. Si tratta, dunque, di un’attività agricola assolutamente sostenibile che offre un alimento noto per le sue eccellenti qualità nutritive. Oltretutto, va sottolineato come la produzione di miele possa offrire indicazioni sullo stato di salute di un territorio in fatto di biodiversità: più un ambiente è ricco di piante e varietà floreali più aumentano le possibilità di ottenere mieli non comuni.
Come ha avuto occasione di sottolineare a margine del Congresso Francesco Panella, leader dell’Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani, non è un caso che gli sforzi dei produttori siano, in questo momento, concentrati nel portare a conoscenza di un più ampio pubblico la grande varietà di mieli esistente. Ce ne sono alcuni dalla personalità più marcata e altri più delicati, tutti meritano di essere valorizzati nel migliore dei modi anche perché, purtroppo, le ultime tendenze del mercato sembrano voler mortificare la preziosa ricchezza che l’apicoltura è in grado di regalarci. La situazione dei consumi appare sostanzialmente stabile.
Non ci sono variazioni di rilievo nelle quantità vendute ma, questa la vera nota dolente, sembra che solo una sparuta minoranza di acquirenti presti attenzione alla qualità di ciò che porta a casa. Gli italiani non rinunciano al miele ma è un alimento su cui risparmiano volentieri. Comprano di preferenza quello industriale dagli scaffali del supermercato, limpido e fluido, ma spogliato di note profumate e caratteristiche nutritive da una lavorazione omologante.
I nostri apicoltori lamentano un serio problema di concorrenza sleale dato che in alcuni paesi, troppo permissivi, nessuno si fa remore a risparmiare sui costi di produzione tramite l’abuso di antibiotici somministrati alle api per combatterne le patologie più diffuse. In un mercato dove tutto si gioca sul prezzo più basso gli apicoltori italiani ed europei, stretti da norme più rigide ma anche più propensi ad offrire un miele di qualità, soffrono non poco la competizione giocata su questo piano.
Per aiutare l’affermazione di scelte più ponderate e consapevoli, che premino chi lavora in modo serio, occorrono risorse per comunicare le differenze tra miele e miele e, soprattutto, un quadro giuridico certo che garantisca una maggiore tutela agli apicoltori che insistono sulla qualità. A questo proposito, è stato accolto con favore l’atto con cui l’Unione Europea ha stabilito che per potersi fregiare del nome di “millefiori” un miele deve essere ottenuto attraverso il naturale girovagare delle api tra diverse varietà floreali. Semplice “miscela” è, invece, la dizione corretta da apporre in etichetta quando l’assemblaggio di mieli di varia origine è operato a posteriori dall’uomo. L’aver riconociuto giuridicamente questa differenza è un esempio di come sia possibile assecondare la legittima aspirazione degli apicoltori a una tutela più puntuale da parte delle istituzioni.
In questi mesi, poi, è all’ordine del giorno il dibattito relativo alla costituzione di una indicazione geografica (Igp) ai fini della valorizzazione dei mieli prealpini. Questa è la strada giusta, ma è un processo che va ampliato e assecondato anche all’estero. Solo con creazione di denominazioni di origine in ogni paese sarà possibile per far crescere la qualità diffusa e segnare dei punti a favore della piena maturazione del settore.